giovedì 14 maggio 2009

Querelle

A provocazione (letteraria, s'intende) rispondo, per gli astanti che si trovano imbrigliati in questa lettura consiglio di leggere il riassunto delle precedenti puntate qui e qui.

Mi va di fare una premessa, rispetto molto i gusti personali e non solo in fatto di libri, quindi questo post ed eventuali miei commenti non sono atti a convincere nessuno della piacevolezza (o meno) di questa o quella lettura, mi sono trovata davanti una persona intelligente e spero di poter rispondere ad alcune rimostranze in maniera adeguata, ritengo anche che ci siano molte persone sensibili (dal punto di vista letterario) che passeggiano dalle parti di questo blog, e anche per questo decido di riportare le mie riflessioni non in un ulteriore commento sotto il posti di Mario ma qui, aprendo la porta ad altri interlocutori.

La questione inizia intorno ad un autore in particolare, Alessandro Baricco, e si sposta sulla Rowling, quando Mario parla dei sui gusti, del fantasy, e di Harry Potter.
Ripartiamo da Harry, il maghetto più famoso del mondo.
Ho avuto una fase romantica nella letteratura anch'io, ho pensato che l'arte fosse il motore e la leva che muoveva il mondo e gli artisti degli esseri fortunati ammessi alla corte di una bellissima dama. Poi ho studiato e ho capito che la fame muove molte più leve. Sì, fame, la necessità di sbarcare il lunario. Per un letterato la fame si traduce immediatamente in "seguo i gusti del pubblico". E non solo oggi nella consumistica società che siamo diventati, no! Vi siete mai chiesti perché i tre moschettieri si intitola così se in realtà i moschettieri sono 4 e a dirla tutta il più figo di tutti è D'Artagnan? Perché Dumas scrive in un'epoca in cui va di moda pubblicare sul giornale a puntate, e al pubblico il personaggio di D'Artagnan piaceva più dei suoi tre amici e Dumas non si fa scappare l'occasione e va dietro ai gusti del pubblico. Nonostante questo Dumas rimane un classico della letteratura, i tre moschettieri rimane un bel romanzo, e non per così poco viene sminuito nel panorama europeo. Come lui ce ne sono altri, questo per dire che l'operazione di marketing della Rowling non è la prima, non sarà l'ultima, e potrebbe non compromettere l'intera opera della scrittrice più ricca d'Inghilterra. Sono d'accordo quindi con quanto afferma Mario sulla costruzione dei capitoli, aggiungerò di più, se fino al terzo libro (forse addirittura al secondo) la volontà è quella di scrivere un libro per bambini, da lì in poi è chiaro che il target è cambiato, anche solo per numero di pagine! Chi di noi metterebbe in mano ad un bambino un tomo di 700 pagine?! La Rowling o chi per lei si è resa conto che se allarga il mercato si allargheranno anche i guadagni, ed ecco che gli scenari si complicano, e che i libri si allungano, con buona pace dei registi che vogliono farne un film, che devono decidere cosa tagliare di ogni romanzo. Inoltre per assicurarsi una clientela fedele la suspance non si crea solo tra i capitoli del libro stesso, ma anche tra uno e l'altro. Si può iniziare a leggere la saga dal secondo, senza perdersi passaggi particolarmente importanti sul filo che lega tutto, ma dopo non si può più perdere una pagina, o si perderanno i pezzi di un puzzle abbastanza sofisticato.
Ammetto tutta la mia ignoranza su Tolkien, ho letto solo L'Hobbit, non mi è dispiaciuto particolarmente, ma sinceramente non è il mio genere. Da qui a dire che tutto questo mondo se l'è inventato lui, andiamoci piano! La tradizione anglosassone eredita un mondo mitologico da cui noi italiani siamo distanti anni luce, riusciamo a malapena a immaginarcelo, ma secoli di civiltà barbare (in particolare i celti) e di lontananza dalla Chiesa hanno favorito il proliferare di una ricchissima tradizione e di racconti dove i protagonisti sono degli esseri particolarissimi (elfi, gnomi, fate e folletti) e molto diversi da quelli che ogni tanto cercando di venderci. Alcuni sono per definizione buoni e altri per definizione cattivi, altri ancora si collocano (più o meno come gli esseri umani) a metà di questa linea. Tolkien riporta in vita questo mondo, in maniera anche molto dettagliata, gli dà un ordine, una nascita, una vita e una fine e da esperto di lingue (moderne e antiche) quale era, ne inventa una lingua. Lui stesso è un grande studioso di filologia e letteratura, quindi non c'è ingenuità nella sua opera in questo senso, ma studio e ricerca, quindi ancor più merito per questa sua operazione. Qualcuno se la sentirebbe di dire che Tolkien copia?!

Ora, la Rowling scrive in un momento storico molto diverso, in cui, ad esempio, esiste una cosa che si chiama genere fantasy (in cui Tolkien viene fatto spesso rientrare, ma di cui forse ignorava il significato), in cui sul mercato c'è molta più roba, e c'è anche Tolkien. Poco importa che lei lo avesse letto o meno. La sua operazione dà vita ad un mondo parallelo (non una cosmogonia come il precedente), non le interessa la nascita o la morte di quel mondo, ma le vicende legate ad un ragazzino di 11 anni che scopre la porta per accedere a tutto quello che riteneva fantasia. E infatti il mondo parallelo in cui entra anche il lettore è a misura di preadolescente, c'è lo sport, la scuola, i compagni di classe antipatici, i negozi di caramelle, e poi c'è anche un ministero della magia e un funzionamento del mondo estremamente ancorato ad un idea britannica di governo. Insomma, difficile paragonare le due opere (forse anche poco sensato). Non è un mistero che gli animali che la Rowling piazza nelle sue foreste incantate siano presi dai Bestiari medievali, ma non la considero così stupida da tentare di farlo di nascosto, insomma anche lei attinge da una tradizione precedente, non esattamente la medesima (i popoli di elfi e maghi hanno origini molto più antiche delle leggende medievali), ma anche lei sa servirsene sapientemente. La cosa che io personalmente apprezzo è il gusto per i particolari nei libri di Harry Potter, faccio un esempio, la gente nei quadri che si sposta anche da un paese all'altro, basta che ci sia un altro ritratto nell'altro posto dove sono diretti, il pensieve, o pensatoio che ti permette di vedere le tue memorie senza dover sopportare la gente che racconta... Questa serie di piccole cose denota una cura nel raccontare che è già evidente nel primo libro della saga. Tanto evidente quanto le operazioni di marketing che la Bloomsbury ha pensato per lei, mi va di far notare che tutto questo ha preso il via, perché il suo primo libro è stato un successo che nessuno si aspettava. Da lì in avanti, la piccola casa editrice che ha partecipato al successo della scrittrice non poteva permettersi di sbagliare un colpo, ma questo compromette davvero il gusto di tutta l'opera?
Personalmente non ne sono convinta.

Su Baricco spenderò un altro post, perché mi pare di avervi ammorbato a sufficienza fin qui.
Alla prossima puntata.

lunedì 11 maggio 2009

Baricco legge Melville

ieri sera da Fazio, e io come sempre incantata, incollata davanti al televisore. Dice sempre qualcosa che non hai pensato, e questo lo rende un genio, ti fa notare un particolare che tu non prenderesti mai in considerazione. E racconta libri e scrittori come nessuno.

E ti vien voglia di leggere tutto Melville in un giorno, di correre in libreria, e andare a comprare Moby Dick. E poi ne legge un pezzetto, e senti, che quel rumore lì ti è familiare, che, se come me hai letto praticamente ogni cosa uscita dalla sua penna, quelle parole lì non sono nuove per le tue orecchie.

E ti convinci ancora di più che è un genio, perchè in un mondo in cui tutto è già stato scritto, tradotto ed elaborato, lui sa scrivere parole che parlano ancora, e parlano di libri.