martedì 21 gennaio 2014

Arrivederci

Ve lo ricordate il suono della voce di Claudio Abbado? Neanche io.
Mi viene anche il dubbio che avesse una voce. Una voce diversa dalla musica che suonava, una voce diversa, da quella musica a cui era così legato da diventare tutt'uno.
Mi fa piacere leggere così tanti articoli su quest'uomo così piccolo e così grande, mi dà speranza, la speranza che se riesci a fare qualcosa che davvero ha valore, il mondo se ne accorgerà prima o poi.

"Piccolo, fragile, delicato. Appena salito sul podio, al primo movimento della bacchetta nell’aria accadeva il miracolo: tutto diventava immenso, incorruttibile, immortale”

Se come me avete avuto la fortuna di vederlo dirigere dal vivo, queste parole di Benigni, hanno un senso. Quella sera sul palco vidi un direttore d'orchestra diverso da tutti, un uomo che accennava appena dei gesti, eppure aveva sulla punta della bacchetta un'intera orchestra. Saliva sul palco come si entra in ufficio la mattina, con la semplicità di chi deve svolgere un lavoro, ma con in più il sorriso sulle labbra. Il saluto sempre prima agli orchestrali, e poi al pubblico.





Il maestro Abbado. Non resisto a questo sentimento di tristezza nel pensare alla sua morte, non perchè fossi una fan o avessi visto tutti i suoi concerti, ma per la consapevolezza che abbiamo perso qualcosa. Le persone come il maestro Abbado non si fanno molto notare in vita, ma nel momento in cui ci lasciano, si matura la consapevolezza che portavano sulle spalle un peso grandissimo, che ora ci dobbiamo dividere noi, e il mondo improvvisamente diventa meno leggero.
Confesso che mi scende una lacrima sincera al pensiero della sua morte, di quelle che cadono inavvertitamente, senza scomporre il volto, di quelle che lasciano il sorriso. Credo si chiami commozione.
Arrivederci Maestro.
Grazie

venerdì 10 gennaio 2014

Elogio del passato remoto

Il passato remoto è il tempo della memoria. E' il tempo delle cose che furono, e che vanno rievocate con il faticoso esercizio della mente e del cuore. Non vi si accede facilmente, il più delle volte bisogna sedersi per raccontare ciò che accadde.

Il passato remoto è il tempo della narrazione. Sì, "c'era una volta", ma "ci fu un tempo in cui...", e "venne poi un altro e disse...". le storie si raccontano sempre al passato remoto, perchè sono la memoria per eccellenza, quella che per non essere dimenticata, è stata scritta.

Il passato remoto è il tempo della parola scritta. La parola messa su carta è elegante, pensata e corretta, riveduta nel suo insieme per non essere banale e neanche di difficile comprensione. La parola scritta è fatta per rimanere, e per essere tramandata. la maggior parte delle volte vuole essere letta ad alta voce, per acquistare autorevolezza o anche solo per risuonare meglio.

Il passato remoto contrappone sempre ad un "qui e ora" un "là e altrove", ma a differenza di altri passati non si può usare in maniera generica, gli si deve il rispetto di una scelta.

"Lassú la montagna è silenziosa e deserta. Lungo la mu­lattiera che gli austriaci costruirono per giungere nei pres­si dell'Ortigara, dove un giorno raccolsi la punta ferrata del Bergstock che è qui sulla libreria, ora non passa piú nessuno. La neve che in questi giorni è caduta abbondan­te ha cancellato i sentieri dei pastori, le aie dei carbonai, le trincee della Grande guerra, le avventure dei cacciato­ri. E sotto quella neve vivono i miei ricordi."
Mario Rigoni Stern, Sentieri sotto la neve