venerdì 20 maggio 2011

Sorprese elettorali

Sono stata piacevolmente stupita da queste elezioni. Anche se erano solo le comunali, e si sa che la gente spesso vota una persona per un mare di motivi diversi, spesso slegati anche da quelli politici, soprattutto in una piccola città. Sono stata anche contenta di vedere qualcuno che si proponeva in maniera diversa, con argomenti al di là di parole belle ma vuote.

Ora però purtroppo si va al ballottaggio, ci si tappa il naso e si vota solo per decidere chi sarà il meno peggio... che a dirla tutta non sono neanche sicura di saperlo quale sia il meno peggio...

Questo genere di sorprese purtroppo dura molto poco...

lunedì 2 maggio 2011

Identità linguistica


Da addetta ai lavori ( o quasi) mi ha lasciato sorpresa apprendere che non esiste una chiara e netta definizione della differenza tra una lingua e un dialetto. Non si può far riferimento a definizioni politiche secondo cui una Lingua appartiene ad un popolo che abbia una nazione o stato a cui far riferimento, perché la storia e la geografia ci insegnano cose diverse, non si può parlare di "dignità linguistica", perché proprio noi italiano sappiamo che la letteratura si nutre di opere "dialettali" dal grandissimo valore culturale (Porta, Goldoni, ...). Non si può neanche parlare di una "lingua della cultura", perché in quel caso lascieremmo fuori un bel numero di lingue. Insomma non c'è un modo specifico e univoco di separare il concetto di lingua da quello di dialetto.

Per chi come me è nato in Veneto, questo binomio del linguaggio è affare che si affronta tutti i giorni. Siamo la regione italiana che più fa uso di questa "doppia opzione" nella vita pubblica o privata. Solo che, finché stiamo tra di noi, non ci facciamo neanche caso...
Quando invece un italiano di altre regioni si infila tra le nostre file, o ce ne andiamo noi fuori confine, tutto diventa chiaro... "Spandere non è una parola italiana!" mi sono sentita dire da un friulano. E in effetti basta pensarci un attimo, se l'infinito si maschera da parola regolare e legale, provando a fare il participio passato diventa chiara la matrice veneta (rimane regolare per la lingua italiana, ma diventa illegale, in termini più tecnici) "io ho spanto!". Il problema è che questa come molte altre parole ha una traduzione difficile. Spandere significa rovesciare in maniera casuale ed erronea, ed è riferito principalmente ai liquidi, ma può connotare qualsiasi altra sostanza che una volta uscita dal contenitore si fatica a recuperare. Quindi non è spargere, e neanche versare, ma un buon mix di entrambe con in più la connotazione dell'erroneità dell'azione. (es. Go spanto 'l late! =Ho versato il latte!)
Wikipedia non concorda col mio amico friulano, mal'uso a cui fa riferimento è diverso dal Veneto, è infatti noi non usiamo spanso come participio passato, e se leggete il significato troverete le differenze che cercate.

Essere nati in Veneto significa mettere in atto spesso e volentieri il meccanismo di switch linguistico, ma non per contesti più "alti", ma più che altro in presenza di foresti (=stranieri). Proprio loro trovano inconcepibile come in una boutique del centro di Padova o Verona, la commessa possa rivolgersi al cliente con frasi tipo "Ga'o bisogno?" (=Ha bisogno di qualcosa?). Nessuna connotazione culturale dunque? No, questo non è corretto, perché chi usa il dialetto al posto dell'italiano è visto come più rozzo, ed è frequente soprattutto tra le persone di una certa età il goffo tentativo di italianizzare parole venete, mettendo delle doppie, o tramutando le s in c dolci, o altre artifizi del genere. Cose che per lo più fanno sorridere. Perché la gente di una certa età sa che parlare italiano significa, dalle nostre parti, essere persone istruite, e quindi degne di maggior rispetto. Ma loro magari, semplicemente non hanno avuto la possibilità di frequentare la scuola, e a casa si sa, si parla in dialetto perché ci si capisce meglio.

Ci sono infine delle espressioni che identificano immediatamente un parlante veneto, in particolare negli anni ne ho identificate 2: sta attento/a e fatalità. La prima viene usata come intercalare, anche senza funzione fàtica (di controllare, cioè se sia attivo il canale della comunicazione, e quindi assicurarsi che l'interlocutore sia attento). La seconda è l'introduzione tipica di racconti in cui avvengono episodi più o meno fortuiti. Anche quando decidiamo di usare l'Italiano, non riusciamo a liberarci di alcune "spie" linguistiche che ci marchiano subito, per non parlare poi di quell'accento da cantilena!!