lunedì 27 giugno 2011

Usi e costumi

Foto from Flickr

Venerdì sera partecipo ad una cena con poca convinzione. Un amico ospita delle ragazze che vengono dall'Olanda, e ci chiede di uscire tutti insieme per far vedere la nostra cittadina alle 3 ospiti. Come al solito quando ti aspetti di non divertirti, la serata va molto bene. Rimango a parlare con due di loro per quasi tutta la sera, e scopro che tanto per iniziare nessuna di loro è olandese: una è armena, una belga e l'altra portoghese. Convivono in una casa dove c'è anche un'altra ragazza, neanche lei olandese. Una di loro ha da poco chiesto la cittadinanza, e per farlo ha dovuto sostenere più di un esame sulla lingua, la storia e la cultura dell'Olanda. Durante l'esame ha scoperto di sapere più cose delle signore che le facevano sorveglianza. Deformazione professionale: gli chiedo qual è la 'lingua franca' che parlano in casa, e scopro che non è l'olandese! Non tutte lo parlano bene, solo le due con cui chiacchero io, e mi spiegano che parlano olandese solo quando sono da sole, se c'è un altra persona in casa "per educazione, parliamo inglese". Sto zitta un secondo e penso che noi invece mentre eravamo a tavola con loro, se per caso dovevamo fare un commento tra di noi, anche su un argomento di cui parlavamo con loro, lo facevamo in italiano... che maleducati!

venerdì 24 giugno 2011

Timidezza

(la foto non sono riuscita ad inserirla, ma andatevela a vedere, avrei messo questa!)

Ne sono convinta. Una delle cose che mi ha aiutato a vincere la mia naturale timidezza è stata sicuramente la musica. Niente potere terapeutico delle note, o estasi trascendentali nel momento in cui metto le mani sulla chitarra. No, solo la consapevolezza dura e cruda che una volta all'anno sarei dovuta salire su quel palco. Da sola, io la mia chitarra e nient'altro. Nessuna via di fuga, pochi minuti, la necessità di essere concentrati. E non era tanto il viso che s'infuocava o le gambe che tremavano, no. Erano le dita che a un tratto mi tradivano, era la mente che sapeva di dover rimanere concentrata su quello che dovevo suonare, e nient'altro. Ci ho messo 11 anni, un diploma, parecchi saggi (anche "finali" quelli cioè che fanno solo gli allievi dei corsi superiori, alla sera, come i concerti veri!), ma alla fine ce l'ho fatta. Non facciamo confusione però, non ho smesso di diventare rossa in volto o di aver paura, ma ho imparato ad addomesticare queste sensazioni. Ho imparato a dirmi "se non posso fare a meno di avere paura almeno l'avrò per qualcosa per cui ne valga la pena!". Ho cercato di tenere su di me quella 'paura buona' quella che serve a non farmi sbagliare, a tenermi concentrata. Poi ho iniziato a concentrarmi sul piacere di suonare, sul fatto che dovevo divertirmi. Il mio professore mi ha dato il consiglio migliore: "Suona come quando suoni per i tuoi amici, suona per far sentire qualcosa a qualcuno a cui vuoi bene!" Non avete idea di quanto questo mi abbia aiutato. Ho imparato anche ad addomesticare quel tremolio delle mani, a mettere nella sequenza giusta i brani da suonare, perché dopo un po' che sto lì sopra a suonare le sensazioni cambiano e posso permettermi qualche rischio in più.

L'altra sera mentre seduta a fianco alle mie allieve e le accompagnavo al loro saggio ad un certo punto ho sentito che il cuore mi batteva così forte che forse se ne sarebbero accorte anche loro prima o poi... Ho fatto un respiro profondo, e ho pensato che adesso è il loro turno, non il mio, io devo solo cercare di non farle sfigurare!

lunedì 20 giugno 2011

Vergognarsi della propria bravura

Fantasia X- Alonso Mudarra
Questo è uno dei più bei brani che siano stati scritti per la chitarra. E anche uno dei più famosi. La versione che potete ascoltare da qui è quella di Julian Bream, chitarrista inglese che dà una delle interpretazioni che preferisco di questo brano!



Questo brano scritto in Spagna nel '500 rivela, a volerlo ascoltare bene, delle gradite sorprese. La prima cosa da notare è il titolo: "fantasia que contrahaze la harpa en la manera de Ludovico". L'intenzione è quindi quella di imitare un altro strumento molto in voga nelle corti spagnole, l'arpa. Gli arpeggi iniziali sembrano andare alla ricerca di una melodia e sviluppano in orizzontale (nella melodia) un'idea verticale (se li suonassimo insieme sarebbero degli accordi perfetti). Questa ricerca di una melodia si compie ad un certo punto trovandouna successione incalzante di accordi (1:04) si intuisce un'intenzione che poi prende piede (1:13) aumentando anche il ritmo. Su questo movimento finale è interessante un'annotazione del compositore che sente la necessità di giustificarsi con chi ascolta e chi suona. In calce alla musica è annotato che da lì in poi si costruiscono alcune "false relazioni" che si susseguono nel brano. L'autore specifica che se suonate velocemente non si sentono poi molto, salvaguardando la piacevolezza del pezzo. Al di là del tecnicismo, una falsa frelazione è una dissonanza, cioè un suono per definizione poco gradevole. E' interessante notare che per noi che ascoltiamo oggi c'è molto poco di dissonante in questo brano, dopotutto noi abbiamo nelle orecchie la dodecafonia, Gershwin, Wagner, i Beatles, e anche Gigi d'Alessio (volenti o nolenti li abbiamo proprio tutti!). Viviamo (musicalmente parlando) in un mondo che ha smesso di trovare sbagliata la dissonanza, e la trova invece interessante. Da questo punto di vista non può che farci tenerezza l'intenzione di un autore (e anche su questo termine potremmo dilungarci su quale sia la differenza tra usarlo oggi e così tanti secoli fa) che sappia di aver fatto qualcosa di "non consentito", ma non rinunci al suo gusto e con l'escamotage chieda all'esecutore di suonarlo velocemente, quasi a sperare che nessuno se ne accorga!
Almeno a me ha sempre fatto tenerezza quell'annotazione, e nell'eseguirlo ero combattuta tra la condiscendenza di accontentare l'autore e suonarlo in fretta, e la voglia di rendergli davvero giustizia e lasciare che si potessero apprezzare queste sonorità così 'interessanti' e così moderne per un uomo del '500.

venerdì 10 giugno 2011

A proposito del referendum...

Questo fine settimana si va a votare per il referendum, l'ennesimo! Ieri la mia panettiera mi fa: "ma devo votare anch'io per il referendum?". Ecco, allora a me vien voglia di specificare una cosa...

Nonostante quello che ci raccontano, andare a votare è un diritto e un dovere, quindi sì, si va a votare, poi se segnare sì, o no è una decisione che prenderà la vostra coscienza! Si va a votare perché non è vero che il non voto è un voto. Il non voto è una scelta (quello si spera, e non una dimenticanza!), ma è la scelta di non esprimere un'opinione, non di esprimere la propria contrarietà. La nostra beneamata e maleinvocata Costituzione prevede un quorum per i referendum abrogativi. Fatto salvo che non sono una giurista, ma credo di essere una cittadina di buon senso, credo che si stia manipolando l'interpretazione di questo quorum. Il punto è che per abrogare una legge che già esiste è necessario che la cosa provochi l'interesse di almeno il 50% +1 delle persone che hanno il diritto di voto. Questa l'intenzione di chi ha stabilito questo limite per il referendum, e non altra!
Bene, a questo si aggiunga che chi dice "non andiamo a votare" sa perfettamente che esiste sempre una fetta di popolazione che non esercita il proprio diritto-dovere. Si può vedere anche alle recentissime amministrative dove anche se l'affluenza è stata alta non ha superato l'80% (più o meno, non mi fate le pulci sui numeri)!
Allora chi vi chiede di non andare a votare per esprimere un no, in realtà confida anche in chi non va a votare per altri mille motivi (che non ho le competenze e il tempo di indagare!). Così, con un 25% fisso che non vota, basta molto poco per far fallire un referendum. Ma chi ha deciso, dov'è la maggioranza?
Perché dovrebbe valere anche un principio per cui chi lascia agli altri decidere per sé (quell'ipotetico 25% di cui sopra) deve accettare le decisioni. Ma la maggioranza di persone che vuole esprimere il proprio diritto e il proprio pensiero come vota? Se chi vuole esprimersi per il no, non va a votare, non lo sapremo mai e non sarà la maggioranza a vincere, ma una minoranza furba.

Ecco, allora a prescindere da come la pensate per piacere non fatevi fregare da chi dice che il non-voto è come votare per il no. Perché il non-voto è come non votare, è come dire "fate voi, a me non interessa!". Poi con una mano sula coscienza provate anche a pensare a chi per un voto ha dato anche la sua vita. Se come me appartenete alla specie delle donne, e delle donne italiane, pensate che proprio ad un referendum, nel non-poi-così-lontano 1946, nel nostro paese si sono fatti venire in mente che pure noi donne potevamo esprimere un'opinione. E prima che ci ripensino, e che "tanto ai referendum gli italiani non vanno più a votare", ci tolgano pure quello, per piacere andate a votare. E votate un po' quello che ritenete meglio per voi e per i vostri figli.