venerdì 26 febbraio 2016

Come va la vita matrimoniale?

"Come va la vita matrimoniale?"

Dopo "come stai?", è la domanda che più mi fa alzare gli occhi al cielo (specie nell'ultimo periodo).
Come va la vita matrimoniale? In che senso? Continuiamo ad avere un lavoro per ciascuno, pasti regolari e un discreto (si può fare di meglio) numero di ore di sonno per notte. 
Ma non è ovviamente questo che volevi sapere, e cosa allora? Come va la nostra convivenza? Bene, quando non succede qualcosa che alteri uno dei due. Litighiamo? Sì, certo, credo come ogni coppia di persone che metta insieme vita, abitudini, rituali e piccole manie, ma ovviamente nessuno dei due è ancora uscito di casa sbattendo la porta. Però questa risposta genera sguardi tra lo stupito e il dispiaciuto, come se la vita matrimoniale non prevedesse le difficoltà e quotidianità di ogni rapporto.

"Come va la vita da sposati?", lo chiedono in continuazione, li guardo negli occhi e mi chiedo cosa volete sentirvi dire? Se me lo chiedi la mattina che abbiamo bisticciato prima di uscire da casa, ti dirò che è difficile, se me lo chiedi il giorno che torno dal mio corso di formazione di 5 giorni e trovo un mazzo di fiori sul tavolo, ti dirò che è un idillio. Se me lo chiedi dopo che per tre giorni di fila ci siamo visti solo la mattina e la sera, ti risponderò che alle volte rimpiango i tempi del fidanzamento in cui per vederci almeno ci davamo appuntamento.
Il problema non è il matrimonio, ma l'aspettativa. Non tornerei indietro di un passo, intendiamoci, mi risposerei, con la stessa cerimonia, stessi amici presenti, e anche con lo stesso uomo. L'aspettativa è quella che hanno gli altri, che ti guardano come se improvvisamente ti si dovesse accendere una qualche lampadina addosso.

"Come va il matrimonio?" 
"Bene, grazie"
Mi rifugio in una risposta insipida perchè la domanda non vuole davvero una risposta. E' la frase da dire a chi si è sposato da poco, e allora che anche la risposta sia di circostanza.

domenica 31 gennaio 2016

Ultima ora

Sabato è finita la mia (relativamente) breve supplenza al liceo. Ultima campanella alle 8 di mattina, ultima lezione di letteratura, ultima lezione di lingua inglese, ultima ora.
Lo ammetto, ho visto troppe volte "L'attimo fuggente" (sì, l'ho visto anche in inglese: "Dead Poets Society"), e in fondo al mio cuoricino ho pensato che ci fosse un unico modo per essere salutata dai miei alunni.



In un mese e mezzo circa non si può però pretendere di ottenere questi sguardi e queste lacrime, quindi ero anche preparata alla delusione.
Ogni insegnante, io credo, vorrebbe lasciare un segno indelebile per i ragazzi, vorrebbe essere guardato con rispetto ed ammirazione e far breccia istantaneamente nei loro cuori. Entrando in quelle classi più volte mi sono fatta la stessa domanda che Mandela fa a Peenar nel suo salotto nella celebre scena di Invictus: "Come renderli migliori di quanto loro non credano di essere?"
Sono un po' sensazionalista, lo ammetto, e mi piace far loro domande la cui risposta non si trova nei libri, mi piace dir loro cose che gli facciano storcere il naso e alle volte li facciano anche dissentire dalla mia opinione. Però non lo faccio solo per il gusto dello spettacolo, il vero spettacolo è iniziare a vedere le rotelline muoversi nei loro cervelli, vederli alzare il naso dal libro per cercare la rispostai in qualche angolo della loro mente (fisicamente poi sembrano cercarla in qualche angolo della stanza). Non tutti ci stanno, e non tutti mi guardano interessati, qualcuno continua immancabilmente a farsi i fatti suoi in ultima fila (ma pure in prima), ma un paio di occhi che annuiscono alle mie parole bastano a farmi contenta.
Quella è una delle soddisfazioni più grandi, quegli occhi che chiedono ancora qualcosa da te.Ti fanno sentire responsabile della tua preparazione, e ti fanno venir voglia prima di tutto di essere un'insegnante migliore per poterli portare sempre più avanti. Se poi hai un'intera classe che ti guarda così, devi anche superare quel minimo senso di soggezione e ricordarti che sì, sei preparata a sufficienza per loro.

E così è arrivata quell'ultima ora, la supplente se ne va, l'insegnante rientra e il senso di sollievo da un lato è forte, perchè basta sveglia presto, e basta 24 ore settimanali di insegnamento. Ma c'è anche forte un senso di nostalgia, perchè l'idea di essere un pezzetto nell'ingranaggio della crescita di questi giovani uomini e donne nobilita parecchio.