
Alessandro Baricco
La mia esperienza di lettrice mi ha fatto capire che Baricco è uno di quegli autori che si ama o si odia. Io, questo è ovvio, lo amo.
Non farò finta di essere oggettiva, o di riuscire a vederne i difetti, spiegherò semplicemente perché piace a me.
Il primo libro che ho letto di Baricco è stato Novecento (sì, prima, molto prima che uscisse il film), da lì ho continuato con Oceano Mare, Seta, Castelli di Rabbia, City (ok Ale, ti perdono per averlo scritto), Senza Sangue, Omero, Iliade, L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, Questa Storia, I Barbari. Sono andata a teatro a vedere e sentire Arnoldo Foà che interpretava Novecento, sono corsa al cinema a vedere Lezione 21.
Ho sempre amato i narratori, quegli scrittori cioè che hanno il gusto di raccontare le storie (per lo stesso motivo amo anche la Allende) e trovo che lui sia uno di questi. Con il suo modo talvolta ironico, talvolta sofisticato, ti fa entrare in un mondo, e lì conosci i suoi personaggi che sono così strani che non puoi non innamorartene, perché rappresentano la fragilità umana. Elisewin è la paura che tutti abbiamo di rischiare nella vita, che si può vincere gettandosi nell'amore. Thomas è la rabbia e il desiderio di vendetta che abbiamo provato, incarna tutti i torti che abbiamo subito, e non si salverà se non accetta l'amore che gli viene offerto. Il Sig. Rail è la nostra voglia di sognare senza limiti o barriere, di cambiare il mondo e di rendere possibile l'impossibile. Hélène è la nostra capacità di amare incondizionatamente, dimenticando noi stessi senza che l'altro/a se ne renda conto.
Poi ci sono i suoi giochi linguistici, quel manovrare arbitrariamente parole e punteggiatura che lo ha reso (nel bene e nel male) famoso. Ma ovviamente non è del tutto una sua invenzione, a giocare con la sintassi avevano iniziato molti e molti anni prima. Quello che fa Baricco, però, è quasi una trasposizione musicale sulla pagina scritta. Ed ecco che spuntano pagine "corali", dove si alternano molte voci o addirittura si mescolano fino a non poter più distinguere una dall'altra, o dove ad essere raccontati non sono più gli avvenimenti ma i suoni.
Due parole vanno spese per la sua attività di critico, in particolare di critico musicale. Ne L'anima di Hegel e le mucche del Winsconsin scrive delle cose che sono estremamente moderne per l'epoca della pubblicazione, parla di modernità con la duplice veste di chi la musica l'ha studiata e di chi la fruisce. Smonta luoghi comuni grandi come macigni (vedi quello sul suonare con sentimento) e riesce a dire cose per nulla banali. Poi si può essere d'accordo oppure no, ma questa è un'altra storia.
Sul suo film ho speso numerosi post quando è uscito al cinema, per cui andateveli a ripescare. Basti dire che chi ama i suoi libri amerà anche il suo film, perché si riconosce il tocco e lo stile, e rimane narratore anche dietro la macchina da presa. In più in questo film riesce a infilare molto del suo lavoro di critico: il discorso sui totem e sulla modernità e spettacolarità della musica.
Sono di parte? Certo, ma per mia stessa ammissione. Ho provato a spiegare perchè nutro una sconfinata ammirazione per quest'uomo e il suo lavoro. Lungi da me tentare di portare qualcun altro a vederla allo stesso modo.