lunedì 22 febbraio 2010

Grazie!



Voglio esprimere un sentito ringraziamento.

Ai professori d'orchestra (una volta si diceva orchestrali, mah, va bene così!), per aver stracciato gli spartiti e aver vistosamente protestato per il piazzamento della canzone "Italia amore mio".
A questo proposito si stanno dicendo le più immani sciempiaggini (sì, me ne sono venute altre di parole, ma ho deciso di fare la brava!), tipo che suddetti professori avrebbero dovuto tenere un atteggiamento più consono e mantenere un certo distacco, o anche che loro compito è solo quello di dare un giudizio tecnico su stonature o cose tecniche non in merito alle canzoni.

Ma dico, siamo sicuri di aver capito di cosa stiamo parlando?! A parte che la loro protesta era più che legittima, se i professori con diritto di voto al 50% vedono negata la loro opinione dai risultati finali, possono sicuramente protestare, e dato che nessuno darà loro un microfono, hanno fatto bene ad "attirare l'attenzione". Poi, se dovevano dare un giudizio tecnico, Emanuele Filiberto (principe de che?! Io di storia non so moltissimo, ma mi pare di aver capito che il 2 giugno del '46 li abbiamo mandati a cercarsi un lavoro per sbarcare il lunario, no?!) non andava neanche ammesso al festival. E poi la musica non è intonazione o tecnicismo, io ho visto musicisti tecnicamente perfetti, non sbagliare una nota e non strappare più di un freddo applauso...

E quindi grazie, grazie a quei Professori d'Orchestra che hanno avuto il buon gusto di protestare, grazie anche a chi in platea fischiava e protestava, grazie, perchè dopo aver scritto un post dove mi chiedevo a cosa non applaudirebbe il pubblico, adesso posso darmi una risposta e sono così contenta che sia questa! Grazie.

Adesso mi piacerebbe anche vedere un giornalista che chiede a questi tre con che coraggio sono andati al festival, e in particolare al sopracitato Emanuele Filiberto se scrivendo il testo della canzone ha pensato solo alla pubblicità che si voleva fare o anche ai milioni di persone morte per mano di suo nonno. Poi mi piacerebbe anche che qualcuno gli chiedesse i danni morali, sì perchè in questa settimana le nostre orecchie sono state offese e il Festival va in mondo visione e questa è la figura che ci facciamo nel mondo, e lui, poi, capirà dato che li aveva già chiesti agli italiani i danni...

lunedì 1 febbraio 2010

A teatro

Foto da Flickr
Dall'inizio dell'anno più che per i buoni propositi per un'antica passione ho ripreso a frequentare il teatro. Da un po' di anni disertavo il teatro della mia città in protesta silenziosa contro un direttore artistico che sperperava i soldi nella stagione lirica, riservando una programmazione non curata della prosa. Dopo la locandiera della Musi e un Finale di Partita non degni del palco ero emigrata verso altri teatri, anzi verso un altro teatro. E lì avevo trovato Arnoldo Foà che recitava Novecento, il musical West Side Story, concerti che prevedevano la Kremerata Baltica e Bollani nella stessa stagione, e prose apparentemente più interessanti! Di contro avevo trovato sedie in platea vendute allo stesso prezzo della poltrona (può sembrare da snob un commento del genere, ma provate a pensarci sul serio...) e gradinate che come seconda fila prevedono un trespolo da bar anziché la sedia della prima fila. La tempesta e l'Amleto avevano attirato la mia attenzione sul programma e abbiamo prenotato. Nessuna delle due è stata un esperienza decisamente spiacevole, lo ammetto, ma neanche estatica, eppure gli applausi lo erano. E mi sono ritrovata a chiedermi cosa bisogna fare per essere fischiati dal pubblico, e a non trovare risposta. Passi l'allestimento molto moderno della Tempesta, forse non ero pronta io, o forse no, ma l'Amleto di Preziosi, nonostante l'autostima del protagonista fosse ben alta, e venisse in continuazione alla ribalta in cerca di calorosi applausi con aria compiacente, non è stato esattamente il momento più alto di teatro a cui abbia assistito. Eppure, eppure il pubblico appaludiva. Forse applaudiva il divo, forse no, ma applaudiva a dava consenso alla sua richiesta.

Ieri sera sono tornata al mio teatro, la platea più piccola, ma più raccolta e provvista unicamente di comode poltrone, e fino al loggione che è sì alto, ma permette comunque una perfetta visione, mi sono sentita d'un tratto accolta, ritornata.
Buio, poi una luce fioca, due persone salgono sul palco, la luce illumina un uomo che suona la fisarmonica, poi si spegne e si riaccende su Luca Zingaretti che legge Lighea, un racconto di Tomasi di Lampedusa.

Bello il racconto, piacevole l'accompagnamento musicale, bravo lui a leggere, all'inizio ti chiedi perché gesticoli così tanto, poi le parole ti rapiscono e pensi solo a quello che stai ascoltando. Dura poco, un oretta, e sono uscita riappacificata, con il teatro, con il pubblico che applaude, con il mio teatro.
A volte basta veramente poco...