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Un lettore medio (o uno spettatore occasionale de "La sig.ra in Giallo") sa perfettamente che ci sono alcune cose di cui non si può fare a meno in un romanzo giallo. Ad esempio non si può fare a meno di un delitto, dalle prime pagine di un noir (o giallo, o mistery, o come volete) il lettore aspetta l'omicidio (o al limite anche il furto, ma in quel caso di qualcosa di almeno molto raro e molto prezioso e bla bla bla). Poi ovviamente c'è il detective, ma quello al lettore interessa fino ad un certo punto, perché il detective che risolve il caso è più bravo del lettore (o ha più indizi a disposizione), fa congetture prima che il lettore ci arrivi e passa del tempo a spiegarle. Ecco perché al lettore interessa di più l'amico (o nipote, figlio, dipendente....) del detective, quello che come il lettore non ha capito nulla di quello che è successo e deve farselo spiegare, quello che ha teorie simili a quelle del lettore e cade nel tranello dell'evidenza anche un po' di più del lettore. Sì, il dottor Watson, elementare! Quello che fa sentire il lettore un po' meno stupido. Poi ovviamente ci devono essere tutta una serie di perfetti candidati al ruolo di assassino, più o meno scontati. Gli ingredienti sono sempre quelli (piccole variazioni sono concesse e ben accette) ma la differenza la fa chi mescola insieme gli ingredienti!
Il libro che mi ha incuriosito (sono in un periodo della mia vita in cui tutto ciò che ha a che fare con la cucina mi intriga particolarmente) e che mi ha spinto ad un acquisto avventato si intitola "Sapori assassini a Bombay" di Kalpana Swaminathan. La quarta di copertina elogia il libro con rimandi ad Agatha Christie (il che doveva farmi venire il dubbio, niente di più banale che citare la giallista più famosa d'Inghilterra!), ma chi l'ha scritto ha ignorato alcune delle più elementari regole per compiacere il lettore.
Tanto per cominciare siamo in India, paese sufficientemente misterioso per richiedere in qua e in là qualche spiegazione riferita ai termini che l'autrice usa copiosamente e che in Europa sono assolutamente sconosciuti. Sì, mette un piccolo glossario in fondo, ma sarebbe stato decisamente più comodo e apprezzabile trovare il modo per inserire una spiegazione man mano che il testo procedeva.
L'omicidio, piatto principale del menù, viene servito oltre la metà del libro, un po' tardi onestamente. Inutile tentennare, sappiamo tutti che avverrà, tanto vale procedere! La detective c'è, ed è anche una poliziotta in pensione, un po' stravagante, abbastanza sulle sue, dalle capacità mentali superiori alla media. La narratrice (il nostro dottor Watson per intenderci) è sua nipote, una scrittrice, o aspirante tale che dovrà aiutare la zia nelle indagini, ma invece di aiutare il lettore lo svia ulteriormente, tra l'uso di termini indiani incomprensibili e le storie raccontate solo a metà è impossibile, non solo risolvere davvero il caso per il lettore (cosa a cui comunque non aspiriamo, vogliamo essere colmi d''ammirazione per la brillante detective, ma vorremmo anche sentirci un po' meno imbecilli di sua nipote!), ma anche capire come ha fatto la nostra eroina ( che tra l'altro rifiuta di dare alcuni dettagli su uno dei delitti... non si fa!).
L'azione è molto veloce, fin troppo, e infatti gli indizi che si riescono a sparpagliare per la storia sono pochi e banali, si sprecano due belle occasioni descrittive nella danza del ballerino Rafiq che in parte aiuterà a risolvere il caso. La narrazione perde di godibilità, e non ci si affeziona nemmeno al narratore.
Insomma, il classico piatto che quando lo portano al tavolo dei vicini pensi: "che bello, voglio uno di quelli anch'io", ma poi quando dai il primo morso rimpiangi di non aver ordinato le tagliatelle al ragù!
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